AlienArbeit

20.11.2021

Laboro ergo sum. Lavoro, ma non troppo: quel tanto che basta per guadagnare qualche spicciolo e, al contempo, dimenticare il cogito divenuto fin troppo pesante. Uno stacco temporale notevole, rispetto allo scorso, vedo tra le ultime mie speculazioni e quella attuale. Uno stacco, non soltanto proiettato nel tempo, ma anche nell'abilità di scrittura. Ripetitia iuvant, quando si tratta di apprendere. Al contrario, per attirare l'attenzione di un lettore immaginato - nota bene, non immaginario, altrimenti rispecchierebbe colui/colei vorrei che mi leggesse -, è bene prestare attenzione alle parole, alla scelta di esse e al catturare la sua anima attraverso emozioni, più o meno, condivise. Ho appellato questo piccolo mondo "VagaMente" non solo, come già ripetuto nel tempo, per il mio amore nei confronti degli avverbi. Vagamente esprimo uno stato d'animo di passaggio, seppur sedimentato, sempre, per qualche periodo nel mio essere. Non so bene esprimere la motivazione per cui siano passati mesi dall'ultima volta che ho acceduto da padrona nella mia casa anziché da ospite. So solamente che la continuità è stata, da sempre, il mio tallone d'Achille. La continuità implica un'esercitazione costante, come negli sport che non ho mai praticato. Perché dovrei allenarmi in una giornata in cui ho deciso che la motoria mi fa venire il vomito? Il termine "sacrificio" viene troppo spesso molestato da significazioni più 0 meno forzate, puntate a un eventuale lungo termine di cui, sovente, l'individuo protagonista non ne è poi così convinto rispetto agli interlocutori addetti alla forzatura altrui. Nel traslato iniziale noto una somiglianza con le mie condizioni di salute mentale, attualmente parlando: ho un peso, finalmente, sociale. Sono un anello di una catena fisica e non metafisica, come per tanto tempo sperato. Ho un turno quotidiano per sei giorni mentre, relativamente al settimo, sento scoppiare le meningi nell'ideare come spendere al meglio ventiquattro ore di libertà che, a forza di spremere, mi stanco e il più delle volte utilizzo per riposare il corpo. Lo stesso che sorregge una scatola cranica che, contrariamente, mi ribadisce ogni santa notte l'importanza del concludere il percorso universitario giunto quasi al termine, della lettura di tutti i libri, sia in lingua madre che non, intasanti il comodino e tantissime altre faccende messe in stand-by. Bye bye. C'è stato un periodo, durante lo stacco temporale suddetto, in cui ho abusato dell'esercizio di scrittura - nonostante non abbia prove da presentare, in questo paragrafo, a testimonianza di ciò -, tant'è che il rumore dei tasti, invece di placare il mio Geist come sempre aveva fatto fino al dato momento, scaturivano un'emozione burrascosa tale da uscire e scappare nei boschi. Da notare, i boschi di cui parlo li conosco allo stesso modo della planimetria della mia abitazione, non voglio creare allarmismi. Arriva poi un'accettazione, inaspettata quanto il fatto di aver trovato il coraggio di abbandonare la dittatura scribacchina: sono ufficialmente parte del mondo, magico, del lavoro. Presentando la questione così, sembra quasi che non sia grata di avere un minimo di stabilità economica, quand'è l'esatto opposto. Mi è stata donata quella routine che non riuscivo a comprendere finché la chiamata non è giunta al mio smartphone: l'uscita da Mnemonia non retribuita. Sottolineo altresì il fatto che non mi pesi esercitare il mio lavoro nello specifico: tutt'altro, è stato il migliore tra gli ansiolitici al di fuori del mercato. Il fardello di cui parla Kundera ne "L'insostenibile leggerezza dell'essere" viene a farsi sentire prepotentemente. Avere uno scopo più o meno fondamentale durante il vissuto umano è un po' quello che tutti cercano di ottenere, prima o poi. Su che cosa, allora, sto effettivamente speculando?


La speculazione è, contemporaneamente, più conosciuta dal punto di vista economico, con accezione negativa. L'asticella dell'Umanesimo si è spostata nel corso degli anni, come soggetta costantemente a dei terremoti di rilevanza sociale, che hanno portato l'uomo a porre il proprio centro verso la praticità, o meglio, l'evoluzione dal punto di vista materiale rispetto allo scibile non ancora tangibile. Anche io, finalmente, tocco i miei desideri: tante le rinunce fatte fino al momento Alien, poiché la mnemonica non porta denaro. Il gasolio sembra molto meno costoso, e non soltanto paragonato all'aumento repentino del prezzo del metano. Un viaggio nella Capitale, senza uno scopo specifico, diviene meno peccaminoso, come il cappotto cui metterò un paio di volte all'anno e così via. Sono ufficialmente parte integrale del contesto sociale medio, composto da tasselli di piccole soddisfazioni che celano, anche solo per qualche giornata, una ferita dalla rimarginazione difficoltosa, poiché non sottoponibile ad alcuna cura specifica. Ogni medicinale in fase di sperimentazione, o anche da tempo sul mercato eppure non adibito a curare totalmente una determinata malattia, incontra i propri limiti lungo il percorso. Oppure, si può essere soggetti, al pari di una droga, all'assuefazione. Sono assuefatta dai consigli per gli acquisti, o da tutti quei consigli non richiesti a cui vengo, quotidianamente, sottoposta. Oggi, mi concedo una personalizzazione extra rispetto agli scritti precedenti, indicando il mio sesso biologico. Ciascuna argomentazione da me trattata, credo non abbia genere, tantomeno una staticità biologico-sociale-culturale. Tornando al punto, l'assuefazione dal lavoro, dalla ruota panoramica della vita media, può portare silenziosamente al distacco dell'esercizio mentale. La stessa mente viene ad associarsi al corpo in modo nuovo, rinnovato, non più come estensione puramente endogena, ma addizionata alla richiesta esterna. Non più un dovere morale, quanto l'imposizione dovuta dal contesto. O da chi ne fa le veci. E il metronomo batte il ritmo regolare della quotidianità composta da una serie di oneri da portare a termine entro lo scadere del turno. Arrivederci, a domani. Mi siedo, allora, sopra le quattro ruote che mi riportano verso la mia abitazione. C'è ancora mezza giornata davanti a me. Perché non tornare all'esercizio di scrittura, di studio, di apprendimento? Seppur la radice non cambi, il suffisso è colui che pesa nel differire. Apprendo, unicamente, la mia infermità nei confonti del sapere al mio cospetto. Più che di apprendimento, è lecito parlare di apprensione verso la propria persona. La stessa che, mesi prima, non aveva ritmi cadenzati dall'onere, ma unicamente dalla sete, o meno, d'espressione. Ho sete, bevo un bicchiere d'acqua prima di coricarmi. Il procedere verso la stagione invernale mi provoca tristezza, la sera diviene sempre più vicina. Vorrei concedermi quattro passi, utili anche all'ispirazione, ma il vento soffia troppo forte. E resto ferma, alla posizione intrapresa da quando le mie ruote hanno cessato di camminare. A quando, il mio desiderio, ha smesso di gridare il proprio desiderio di essere pesante. I miei occhi sono pesanti, forse stanchi. E mangio un boccone per celare la pesantezza o, forse, per trasmettere questa pesantezza anche al mio stomaco. La pesantezza dello stomaco, procedendo bottom-up, ascende agli occhi che desiderano abbassare la saracinesca, anche per oggi. Eppure la notte è così pregna d'ispirazione che è un peccato sprecarla per dormire. Domani è un nuovo onere, arriverà. 

Non so perché, nello specifico, un anno fa esatto abbia dato spazio alla pubblicazione delle mie speculazioni presso questo angolo virtuale. Forse e, tengo a precisare seduta stante che l'immagine che sto per offrire non è - almeno in toto - farina del mio sacco, avevo piacere nel vedermi fissa davanti al computer, digitando una lunga serie di pensieri, rendendo così la mia persona intellettualmente elevata, per qualche ora, rispetto allo svolgimento di una giornata tipo. Scrivere per imprimere, rendere pesante il mio Geist in cerca di un posto al sole. Il canovaccio ripeteva la lettura di un libro, qualche intermezzo videoludico e un caffè al bar. Tant'è che, piuttosto che essere assuefatta, sentivo il mio essere totalmente alieno rispetto alla catena che scorreva nel tessuto sociale. È mai possibile che non ci sia un benché minimo spazio per un ulteriore anello? Sono disposta a interpretare la parte di quello debole, senza alcuna remore. L'alienazione cominciava a scorrere nelle vene, lentamente, come inoculata. Nel mezzo di discorsi medi sociali, quali i preparativi di una vacanza o l'acquisto di un nuovo modello di consolle, pensavo soltanto a come spartire quattro spicci settimanali tra un esame e l'altro. Alla fine della gara, avrei poi risolto l'aspetto pratico. Insomma, l'alieno giocava con le sperimentazioni, nel senso: "oh, che bello questo nuovo termine mai utilizzato finora, potrei inserirlo in qualche mio articolo?" E il linguaggio prendeva forma. A nessuno interessava, come non interessa attualmente, tale partita contro il proprio cogito, se non al mio amatissimo Doppelgänger. Eravamo, in realtà, due alieni all'interno di un piccolo contesto sociale, che vagavano mentalmente per lo spazio percorso già da un quarto di secolo in cerca d'ispirazione giornaliera. Guardando l'istantanea, a posteriori, un briciolo di malinconia viene a manifestarsi. Oggi, è passato un anno dal primo momento in cui ho battuto il primo carattere, in Sua compagnia, sentendolo al contrario molto distaccato, freddo. Assente. Avrei piacere di raccontargli che, un mese fa, una scossa inaspettata ha portato un enorme bagliore di luce, seppur per due giorni scarsi, e che il mio volto è stato trasmesso nella tv nazionale. Il mio volto. La superficie. Un vaso pieno di fiori in procinto di appassire e senza il Suo costante giudizio. 

Caro Doppelgänger, necessito di nutrire tali frutti, che non considero del male. Consolatore di me afflitta, spero torni presto. 


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