Mentirei
C'è un tempo che mi concedo senza limiti, ed è quello dedicato all'introspezione. Una introspezione, sovente, che cede al ricatto delle emozioni latenti. La mente, tende ad accumulare nozioni, pezzi di vissuto, istantanee e pellicole infinite. Invia a una cartella compressa; poi, trasferisce i files in un hard disk esterno. Sono dati che attualmente non servono, eppure si ha la consapevolezza che, in qualsiasi momento, possono essere ripresi tra le mani, visualizzarli, modificarli. Trasferirli nuovamente nel proprio dispositivo.
La cantina della mia mente, credo, contenga molte scatole. Consunte a intermittenza, poiché mai abbandonate del tutto. Un gioco che il mio essere non ha perso mai di compiere, quello di ripercorrere ogni giorno passato, prima di chiudere gli occhi. I giorni, ben presto, sono diventati mesi, poi anni. Ora decenni. Impossibile sarebbe ripercorrere ciascun vissuto, singolarmente, nell'arco di un quarto di secolo. Perciò, il mio essere ora sceglie uno "spezzato di vita" a caso, di qualsiasi fase vivente, da guardare precedentemente al coricarmi. È un esercizio che richiede costanza e impegno, prendere sentieri casuali di notte: da un lato, per non dimenticare troppi dettagli. Dall'altro, per l'inconsapevolezza di ciò che potrebbe lasciare un determinato spezzato rispetto a un altro.
La scatola cranica piena di scatole. Ciò che invidio ai dispositivi elettronici, è il non provare emozioni. Il Doppelgänger, dall'alto del suo essere spettatore esterno, costantemente tende a farmi notare la mia non imparzialità al cospetto di certe pellicole, ammonendomi inoltre ogni qualvolta queste suscitano in me sensazioni negative. Fare a meno di tale pratica mi è impossibile. Il vissuto è quella parte della mia vita che, appunto, mi fa sentire viva, poiché i respiri compiuti finora meritano di essere commemorati finché di questi riesco a possederne memoria.
Vorrei che il tempo scorresse un po' più lentamente. Quanto basta a comprendere l'importanza di un istante apparentemente inutile e/o superficiale, poiché consono alla fase vitale attraversata. Un orologio biologico dotato di batteria, al pari di quelli inventati dall'uomo su ispirazione del proprio vissuto: almeno, le pile prima o poi si scaricano; le lancette rimangono ferme finché non arriva la sostituzione, e lo scorrere temporale riprende. Non associo tale interruzione alla morte, quanto a una pausa dalla conta dei minuti da parte dell'oggetto. E se l'essere umano, ora più che mai, associa il suo essere a oggetto, vorrei che il mio corpo divenisse, per osmosi, un prodotto del sistema capitalistico. La mente, nel corso degli anni, è stata rapita o perlomeno assoggettata a tale pensiero. Eppure, la parte emotiva appare, nella maggior parte dei casi, indifferente al contesto ideale e pratico che la mente apprende e di cui il corpo è circondato.
Oppure, ogni essere umano è sostanzialmente differente, per quanto simile, quando si parla di emozioni. Provarne, è il marchio di fabbrica dell'umanità, ma di cui l'autore ha prodotto pezzi unici. Generalizzo e mi pongo, forzatamente, a spettatore. Il Doppelgänger, al mio fianco, non sa se compiacersi o ammonirmi. "Entra nel discorso senza ragionare dall'alto, e ammetti le tue debolezze", sembra che indichino i suoi occhi. Mi riesce sempre difficile, quantomeno, esternare la mia insofferenza verso lo scorrere temporale: perché, perché. Perché quando arriva tale momento, è perché sono finalmente consapevole di aver sprecato parte di quel tempo passato ad aspettare tempi migliori. E vorrei, anche solo per un istante, riassaporare il vissuto di quel dato momento, contornato da vestiti, musica e volti ora distanti, nel mondo reale anziché tra le quattro pareti del mio cervello.
Mentirei se, nella consapevolezza del tempo che fu, attualmente dia l'importanza richiesta al dato momento. Sono troppo impegnata a riassaporare uno spezzato di vent'anni fa tra la ghiaia e le corse in casette di plastica; alle volte, sul tavolo di una pizzeria del mio paese, con qualche amico, mentre ci scambiamo video con il Bluetooth; altre ancora, in una discoteca di Praga, durante la gita del quinto superiore. È che, forse,
mentirei,
se non riconoscessi la mia malinconia,
nel rivedermi tra tante persone
sedute su un prato, in un pullman, dentro a un bar,
nel parlarci con un messaggio o inviando un trillo.
Una fuga in motorino senza casco, con una birra di bassa gradazione in mano.
Mentirei se dicessi di non aver apprezzato
quelle uscite di sera, spese nel migliore dei modi possibili,
poiché consapevole di dover tornare a casa a un'ora contrattata.
Mentirei se non ammettessi
di provare malinconia nei confronti del tempo:
quello in cui ero consapevole di non essere sola,
perché per fare amicizia bastava poco,
oppure non conoscevo ancòra appieno quanto male, certe conoscenze, potessero lasciare.
E nella voragine vuota che si apre, ogni giorno di più, sotto ai miei piedi,
cerco di non scivolare nonostante le pareti sdrucciolevoli:
quel buco su cui giacciono le scatole dei tempi andati,
che con la mente riesumo,
con l'oblio contrasto.
Con il corpo, giaccio nel limbo tra il reale e il tempo trascorso.