For a new (i)deal
Il tempo d'intervallo è per me asimmetrico, ininfluente. Non dico astratto, ma qualcosa cui tener poco conto. Forse cerco soltanto una giustificazione dall'abbandono dell'esercizio di scrittura prolungato, dato che dall'ultima mia riflessione sono trascorsi fiumi di spumante della speranza. Probabilmente, sfociati negli scarichi. Non è questione di mancanza di voglia, di perdita d'ispirazione o di impegni "extra-ludici": avevo temporaneamente perduto la mia casa. Riparavano le fondamenta, perché questo sono i pulsanti dell'operatore che mette per iscritto il mio pensiero. E senza la mia dimora fissa, il mio punto di riferimento, ecco che muore anche la mia voce. Per farla breve, i dispositivi elettronici non sono equivalenti. Ci sono quelli a cui hai donato parte di te stesso, giorno dopo giorno, e nuovi contenitori da riempire con il tuo bagaglio. I sostituti sono di passaggio, una toppa e, le toppe, servono a colmare un buco di troppo. Per me, la scrittura è l'esatto contrario, perciò necessitavo dell'operatore che mette per iscritto i miei pensieri. Il mio operatore. La proiezione della mia mente. E nel frattempo che la dimora veniva risistemata, la bibita amara cercava di consolare la società dalle avverse vicissitudini di un anno merito di dimentichevolezza. Ci sono tempi a cui viene dedicato lo status di remoto poiché certi - eppure, neanche là oserei azzardare troppo - della non ripetizione. Einmal ist Keinmal, per omaggiare com'è, sovente, consuetudine personale, il mio scrittore preferito. Altresì la speranza, pessima consigliera e acerrima nemica del realismo, quest'ultimo dalla gran parte disprezzato seppur l'unico confidente sincero delle nostre vite, per qualche ora si era presa la briga di illuminare la traiettoria futura diametralmente opposta al tetro passato prossimo, ipnotizzando alcune risate - vere o di circostanza, non posso saperlo, dato che non ho mai frequentato le vostre famiglie - e facendo ipotizzare segnali incoraggianti lungo tal via. Gli stessi quali, pian piano, si erano e tuttora continuano a rivelarsi alieni, fasulli. Sono disposta a credere agli extra-terrestri, ma non alla speranza. Quando esco, quel poco che mi càpita e, a favore della mia tesi, rimango sempre in piedi: i divieti apposti sopra ai sedili pubblici sono direttamente proporzionali alla solitudine che circonda le piazze, le strade e i parchi. Vietato sedersi. Ed effettivamente ha senso: nella seduta, soprattutto dopo un dì faticoso, l'individuo prova sollievo, piacere. Ad oggi, la prima cosa ad essere vietata, prima di sedersi, è proprio nel provare una benché minima quiete. Non mi credete, vero? Eppure siete cittadini del mondo globale quanto me. Una volta, anche i social network venivano utilizzati per ludo, per condivisione. Oggi il minimo comune denominatore della piazza virtuale è l'angoscia, commistionata alla narrativa di morte. Il binario viene interrotto proprio nel posto in cui la società cerca di trovare quel coraggio manchevole, nel suo piccolo presente, di proseguire il tragitto vitale. Ecco che la negazione-della-vita prende spazio nei discorsi comuni, procedendo bottom-up finanche alle cariche istituzionali. Il risultato è semplice di risolutezza: la sterilità. Ogniqualvolta debba uscire, mi sterilizzo le mani. Lo hanno raccomandato sin dal primo istante, che è importante sterilizzarsi. Tutti tentano di uccidere i batteri; al contempo, uno spietato virus tenta di uccidere tutti. Aiuto, vedo il simbolo dell'infinito di fronte ai miei occhi! Insomma, questo è ciò che accade in superficie. Nel profondo, la narrativa si insidia in modo meno palese e ben più cauto: attendendo il momento giusto di distrazione, fingendo una pseudo-quotidianità, viene ripreso il lavoro di prosecuzione e, a difesa, di certi ideali. Da una parte e dall'altra del Parlamento, quando nacquero la destra e la sinistra, soltanto che ora è vietato sedersi e le persone di confondono in un unico nucleo centrale, prive di qualche minimo tipo di differenziazione. Scendo top-down e, non potendo più prendere posto, tra l'altro c'è anche chi l'ha perso, un posto, nel frattempo, anche le voci sociali cominciano a mescolarsi in una nube indefinita e confusa di idee, contenute perlomeno dallo schermo protettivo del telelavoro. Insomma, dall'alto o dal basso, dalla superficie o dal profondo, la soluzione ricade nella sterilità. Da ricordare, ben diversa dall'annullamento, dove è chiusa una matrice personale e, oserei dire, volontaria. Il mondo sociale è, al contrario, attivo nel difendere la propria legittima sterilità. Sia in piedi dietro alle quattro mura, che nei periodi in cui sembra svanisca tutto e cerca di dare sfogo alle privazioni subìte fino a qualche istante prima. Una massa macchinosa colma di movimenti pressoché identici, volta a perseguire la speranza riflessa di un enorme punto interrogativo che, talvolta, rischia d'annegare tra le grida e i pianti di frustrazione. Ora, pensare a una soluzione è semi-impossibile, arduo. Se non fare affidamento al confessore burbero e sincero quale è il raziocinio, depurato dai pizzi di un ottimismo scadente e inadeguato a intraprendere la battaglia per la sopravvivenza. "Pessimisti di tutti i popoli: unitevi!", così aprirei le porte ai bisognosi della mia parrocchia. Confido nella giustizia del non credere, rispetto a colorare i miei occhi di sogni di marca scadente. Nel dar sfogo alle mie corde vocali sulla melodia del lamento, anziché legarle con l'arcobaleno portatore di fratellanza insignificante e falsamente collettiva. A riprendere gli ideali abbandonati fino all'ultimo istante di vita societaria fisica e procedere a ritroso, invece di sognare verso un futuro incerto, sia nella sua astrattezza che nella presenza terrena della mia persona. Si dà poca importanza al passato, se non come culla di malinconie. Il passato è degno di vita, poiché pregno di conoscenza. Ed è possibile ripercorrere, in virtù di ciò, tutti i sentieri dolci e/o amari intrapresi fino al dato momento, concretamente o meno. La sola consistenza di un oggetto appartenente alla produzione del prodotto interno lordo diverso dall'anno corrente mi permette tale attitudine. Poi, per un'esperienza più concreta, è indispensabile attivare più sensi in contemporanea. Una musica legata a un tocco e/o a un determinato odore, un breve filmato o un'istantanea. Non fermarti alla superficie e prosegui. Ho, numerose volte, tirato in ballo quel pozzo profondo dove scivolano le materie che si accumulano nel tempo. Considerando l'asimmetria di quest'ultimo e il ritorno anch'esso disarmonico di alcune circostanze, è possibile ripescarne qualcosa. Anche dall'antro più oscuro e impensabile. Vi dico: non cedete all'ottimismo, ma al volere, di qualsiasi sfumatura, del vostro animo.