Società dalle emozioni effimere
Non ho talenti in particolare, se non quello di evitare, relativamente a questa mia piccola camera di sfogo, l'inizio delle frasi con la terza persona singolare del verbo essere. Dovrei costantemente copiare il formato da un documento Word, poiché dopo il punto non diviene, in automatico, stampatello maiuscolo. Adoro però ricorrere - ed è sconsigliatissimo da chiunque, dato che sono vettori di pesantezza - agli avverbi, tale da dedicare il nome della locanda mentale, nonché personale, ad uno di essi. Vagamente osservo il mondo: non voglio dire dando per scontato le situazioni; al contrario, cerco di immagazzinare un numero sempre crescente di fotografie per poi ragionarci, nel profondo, a casa. Un litigio rubato, da spettatore passivo quale sono, o le innumerevoli conversazioni informali a cui ero abituata a prendere parte. Non credo che la banalità esista concretamente. Ogni qualsivoglia sfumatura dell'individuo, finanche leggera, cela un tassello della composizione totale dell'opera. Un po' come un pixel del televisore, per intenderci. E, non discostandomi dall'universo appena citato, sono un'amante dei cavi di ciascun tipo. Vorrei essere seppellita al di sotto di essi. Anzi, vorrei un'uscita al pari di qualsiasi dispositivo. Vorrei assomigliare a un decoder e trasmettere "TeleVagaMente" agli appassionati delle mie cialtronerie. Sebbene trascorra gran parte del mio tempo in compagnia dell'amatissimo Doppelgänger, sono un animale sociale ad intermittenza. Nel senso che, seppur discostata spazialmente, adoro altresì gli scambi d'opinione e, difetto di fabbrica, soprattutto con coloro di cui non conosco nulla. E di cui, probabilmente, non saprò altro, una volta giunta al termine di quel determinato rendez-vous. Rileggendo quest'ultima frase, mi rendo conto di quanto ami, inoltre, il dinamismo delle proposizioni: sono una proposizione! O meglio, un insieme di proposizioni subordinate. Chiedendo nuovamente un prestito alla lingua tedesca, il mio nome è "TeKaMoLo". Cambia l'ordine, ma non la sostanza. Inverto i miei pensieri, le parole che fuoriescono dal delirio attuale. Poi le cancello, le brucio con la rabbia di non esprimermi al meglio, per poi riscriverle di lacrime frustrate dovute alla mia incapacità di non riuscire a comunicare razionalmente con la mia generazione. Lo specchio di casa non restituisce una situazione tipo e allora afferro la sferza per il momento del flagello ma, per quanto colpisca nel profondo il dolore, anziché venire da fuori, brucia dall'unica parte rimasta esclusa agli ematomi. E così via. Allora poso l'arnese e tiro un grandissimo sospiro, rifletto fino a cadere sul pavimento. Sonnecchio pensando che, fondamentalmente, non sia l'unica ad avere deficit espressivo-comunicativi, non dico nel piccolo del mio paese ma superando i confini geomentali. In verità, vi dico, ho una grandissima voglia di scrivere un libro e tradurlo in ogni lingua del mondo, dialetti compresi. Anche in lingua morta, se fosse il modo di rendere il mio scritto a un simile. Vedere il proprio Doppelgänger, dopotutto, in alcune mitologie è un presagio di morte. Che sia una coincidenza, cerebralmente parlando? Confesso, da alcuni anni sin da prima della situazione emergenziale di cui, in tale tempio mentale, non ho mai proferito parola, ho cominciato a soffrire di una insofferenza socio-affettiva nei confronti dei rapporti d'amicizia stabili dovuti principalmente a non so bene qual motivo. Chiunque mi conosca un poco è portato a pensare che, tuttavia, dovrei essere colei che ha sofferto in minor parte la chiusura di ogni luogo adibito allo scambio sociale. Lecito, confermo. Ebbene, ad oggi l'oppressione è arrivata all'Iperuranio. Non speculerò altrimenti sull'importanza personale nei riguardi dei non-luoghi, o su quanto il consiglio ricevuto da infante: "non parlare con gli sconosciuti" abbia ciclicamente sortìto, nella mia persona, l'effetto opposto. In superficie, sento di non coincidere con la cultura mainstream attuale sotto molteplici aspetti. Dall'informazione alla politica, passando per le arti e la musica. Giuro di impegnarmi, fintanto quel poco di quiete interiore me lo permetta, ad aprire le porte a nuovi flussi, generati quest'ultimi in modo più efficiente rispetto a qualche anno fa. Il passo con i tempi logora, pian piano, le suole delle mie scarpe che foderano piedi stanchi di correre dietro a un bottino che non appartiene loro. Probabilmente lancerò le suddette nel mezzo della via del futuro, permettendo ad un oggetto personale di partecipare alla contemporaneità. Scendo i gradini che conducono al convivio generazionale e, tutti i commensali, trovano a differirsi sfumatamente sulle questioni di loro interesse. Mia consuetudine è quella di prendere parte alle situazioni nella maniera più anonima raggiungibile dall'essere umano - silenziosamente, prendo e siedo vicino all'invitato con cui ho maggiormente legame. Per il resto, un'enorme nube bianca si stende sui miei pensieri, ciò che ho idealizzato fino all'istante in cui ho raggiunto la porta d'ingresso, diventando un tutt'uno con la definizione del vocabolario di inadeguatezza. Sorrisi di cortesia e finti sorseggi di qualcosa di alcolico - destesto bere, per aumentare ancora il distacco - fanno da metronomo nell'uscita che avrei potuto evitare. Appena giunge il momento, con permesso, mi congedo e corro finalmente a casa. Ma perché, se prima stessi così soffrendo, continuo a percepire freddo nonostante la chiusura degli infissi? Finora ho risolto sigillandoli con il silicone delle mie convinzioni, ma la sfida lanciatami da un Geist esogeno pesa troppo. Il fardello della pesantezza di cui parlava, nel 1985, il mio scrittore preferito, non è più dato dalle relazioni sociali quanto dal contrario. L'interazione, seppur apparentemente sterile, una volta troncata può riservare appagamento nel breve termine; al contrario, nel troppo-lungo, diviene una sabbia mobile che porta l'individuo ad annegare nel proprio tempio ego-centrico. Tendo a separare il termine per sfumarne il significato a piacimento: non si tratta di una questione di autoconvinzione, quanto di una cattività all'interno di se stessi, tale da ragionare. appunto, al sé come unico essere con cui ci si è rapportati fino al momento dato. La stagnazione presentata porta, dopo una catena di stimoli soddisfatti, al fulcro della noia: il calore in base di sciogliere il ferro, a seconda di quanta pressione agisca o meno sul solido. Quando la temperatura diviene insostenibile, la fiamma brucia tutto l'ossigeno presente nella meta-stanza fisica e mentale, il pensiero viene risucchiato dalla spirale dell'autoconvinzione di essere-fatto-così. o di non-difettare-in-toto. Le chiamate diminuiscono in modo inversamente proporzionale rispetto al tempo dedicato all'Ego. Io, quello riflesso allo specchio e che riflette il pensiero, esce dagli occhi e prende la forma di Doppelgänger cui, dedicandogli crescente attenzione, comincia non tanto a solidificarsi quanto ad acquisire una voce propria, narrata dal corpo nativo ma diversa di tonalità. Potrei spaventare quel povero passante in queste poche righe di cialtronerie, dando l'impressione di aver perso il senno. Eppure, sono sicura che, almeno in una piccola e/o remota parte della persona - ripeto, sfortunata - cui si scontrerà con i miei deliri, abbia uno spettro ben chiuso nell'angolo più dissipato della scatola cranica. O del cuore, dipende poi da come uno la pensi. Ed ecco che, tornando di fronte allo specchio-spettro-sociale, noto una similitudine con la generazione abbandonata qualche anno fa. Lo spettro televisivo trasmette immagini conformi agli stati d'animo di cui difficilmente di disserta ai tavoli di un bar, se non dopo un generoso ausilio. Particolarmente quando, il minimo comune denominatore della frustrazione colpisce indistintamente, dagli in-group alle nazioni intere, ogni componente della specie umana, ecco che il dialogo effimero tende al vettore della comprensione. Analiticamente parlando, tramite un percorso bottom-up. è possibile arrivare alla creazione di un legame solido alla radice seppur distaccato negli interessi informali. Ancora non ho un riscontro valido alla tesi appena proposta ma, giuro, appena avrò occasione, non esiterò ad applicarla. Poi, se mai interessasse a qualcuno, darò risposta del risultato ottenuto.